mercoledì 24 gennaio 2018

L'Europa necessità di riforme se vuole l'investitore più ottimista

La crisi europea è finita e il tema principale diventano le riforme. Prima colpita nel 2008 dalla crisi dei subprime, scoppiata alla fine del 2006 negli Stati Uniti che ha avuto gravi conseguenze sull’economia mondiale, in particolar modo nei paesi sviluppati del mondo occidentale, innescando la grande recessione. Poi ha subito il double-dip 2011. Dopo 5 anni di incertezze e l’impegno del presidente della BCE, Mario Draghi, “faremo qualunque cosa”, la ripresa dell’Eurozona è finalmente reale. L’area dell’euro crescerà di circa il 2% nel 2018, secondo le previsioni dell’FMI, e questa volta i paesi periferici si uniranno all’espansione.

Quando parliamo di paesi periferici ci riferiamo a Spagna, Portogallo, Italia e Grecia. Solo un anno fa gli euroscettici stavano discutendo su come, non se, l’Eurozona si sarebbe sciolta. Oggi gli investitori stanno acquistando bond governativi in Spagna, Portogallo, Italia e Grecia. Le agenzie di rating alzano i rating di questi paesi e i rendimenti dei titoli di stato greci sono scesi sotto il 10% nel 2016, lo stesso dell’Ecuador e del Ghana, a meno del 4% di oggi.

Tutto questo ottimismo è giustificato?

Il Fondo monetario internazionale ha migliorato le stime di crescita dell’Italia, per riflettere il forte slancio nella domanda interna e la domanda alta dall’estero, ma non ha mancato di sottolineare i rischi associati all’incertezza politica in vista delle prossime elezioni di marzo. Migliorata anche la stima di crescita dell’Eurozona, merito delle revisioni al rialzo di quelle relative a Germania, Italia e Paesi Bassi. Esse hanno controbilanciato il taglio contenuto delle previsioni relative alla Spagna.

Nel 2018, il Pil dell’area euro è visto crescere del 2,2%, lo 0,3% in più rispetto alle previsioni calcolate dall’istituto di Washington lo scorso ottobre. Per il 2019 le attese sono per un’espansione del 2% anziché dell’1,7%.

Riviste al ribasso le stime della disoccupazione: nel 2017 si assesta a 11,3% (invece dell’11,5% previsto a maggio), per poi scendere a 10,9% nel 2018 e a 10,5% nel 2019. L’occupazione invece “rallenta a 1% nel 2017” dopo “il phasing-out degli sgravi per le assunzioni”, a 0,9% nel 2018 e 0,5% nel 2019. I nuovi incentivi del bilancio 2018 per le assunzioni dei giovani “sosterranno” l’occupazione. Ma lo sviluppo del mercato del lavoro “sarà in linea con l’attività economica”.

Per quanto riguarda il debito pubblico, secondo la Commissione “scende solo marginalmente”. La stima è di un debito “stabilizzato” nel 2017 a 132,1%, “anche a causa del sostegno pubblico alle banche”, in “marginale discesa” a 130,8% nel 2018 e a 130% nel 2019, “soprattutto a causa della crescita più forte”.

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La componente politica del 2018

I negoziati in Germania potrebbero presto dare il via ad una grande coalizione, con l’opposizione SPD che finalmente darà al governo il potere di favorire maggiori stimoli e cooperazione fiscale. A differenza del Regno Unito e degli Stati Uniti, dove la disuguaglianza ha alimentato i voti di protesta, i populisti hanno perso in Francia, Spagna, Paesi Bassi e Germania.

Le probabilità che il Movimento Cinque Stelle anti-euro formi un governo dopo le elezioni di marzo italiane sono inferiori al 5 per cento, secondo le stime degli analisti politici. Con una politica stabile e un miglioramento dell’economia le stelle europee sembrano allineate per un’Unione europea più forte. Oltre l’ottimismo, tuttavia, si trova un crocevia cruciale per l’Europa. I suoi leader hanno una breve finestra di tempo per riformare e rafforzare l’Unione. Non devono sprecarlo.

Christine Lagarde, il direttore generale del Fondo monetario internazionale, ha però aperto la conferenza con cui l’istituto di Washington ha presentato da Davos (Svizzera) l’aggiornamento al suo World Economic Outlook lanciando un avvertimento. Ancora una volta Lagarde ha fatto pressing sui legislatori mondiali affinché approfittino del momento attuale per fare le riforme necessarie. Invece che ricorrere alla sua solita metafora (riparare il tetto quando c’è il sole), Lagarde si è ispirata al manto nevoso che sta coprendo Davos (dove sta per iniziare ufficialmente il World Economic Forum) per dire che «quando la neve smette di scendere, qui si puliscono le strade». Ancora una volta il d.g. del Fondo ha spinto per una ripresa condivisa.

I dati dell’Italia

L’Italia resta ultima in Europa sulla crescita per tutto il nuovo periodo coperto dalle previsioni della Commissione Ue, cioè 2017, 2018 e 2019. Solo il Regno Unito, che però viene per la prima volta escluso dalla tabella Euro, ha un andamento del pil quasi uguale a quello italiano. Bruxelles rivede leggermente al ribasso le stime della disoccupazione nel nostro paese: nel 2017 si assesta a 11,3% (invece dell’11,5% previsto a maggio), per poi scendere a 10,9% nel 2018 e a 10,5% nel 2019.

L’occupazione invece rallenta dopo il phasing-out degli sgravi per le assunzioni. I nuovi incentivi del bilancio 2018 per le assunzioni dei giovani sosterranno l’occupazione ma lo sviluppo del mercato del lavoro “sarà in linea con l’attività economica”.

Per quanto riguarda il debito, scenderà solo marginalmente. Lo scrive la Commissione Ue nelle previsioni economiche. La stima è di un debito stabilizzato nel 2017 a 132,1%, anche a causa del sostegno pubblico alle banche, in marginale discesa a 130,8% nel 2018 e a 130% nel 2019, soprattutto a causa della crescita più forte.

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