mercoledì 20 luglio 2016

Ci sono possibilità di bolla, ma le azioni offrono ancora delle opportunità

Sono sempre di più gli analisti che definiscono le azioni americane vicino una bolla. Lo ha riferito il premio Nopbel Robert Shiller che tuttora è economista a Goldman Sachs. Proprio ieri sera c’è stata la convention repubblicana che ha sancito il magnate Donald Trump come il candidato alla presidenza per Novembre 2016, secondo Shiller se dovesse vincere sarebbe davvero l’inizio di un declino economico per l’America, mentre il corporate raider Carl Icahn ha sottolineato le parole di Shiller con fare minaccioso e con un laconico siamo alla resa dei conti. In realtà, molti commentatori finanziari hanno detto che le azioni statunitensi sono fortemente sopravvalutate e che chiunque abbia il coraggio di tenere titoli azionari in portafoglio sarà presto colpito dalla forza di gravità ribassista del mercato. Ma vediamo le ragioni.

L’indice S&P500, le maggiori capitalizzazioni americane degli Stati Uniti, ha toccato i nuovi massimi questa settimana, spingendo le azioni in territorio da “bolla” con i tassi di interesse ai minimi storici che hanno spinto gli investitori alla disperata ricerca di un ritorno sul loro soldi pagando prezzi sempre più alti.

Otto anni di mercato toro azionario danno poche prospettive e lasciano pochi spazi, per coloro che hanno il coraggio di esprimere una opinione che i prezzi delle azioni siano ancora sottovalutate, o almeno non tutte. Le azioni quotate negli Stati Uniti, come rappresentato dallo S&P500, non sono certo a buon mercato rispetto al loro prezzo medio di dieci anni di utili multipli, eppure non diamo per scontato che le trimestrali, a parte la guerra delle valute, stanno andando bene e i multipli potrebbe abbassarsi già nella seconda metà del 2016.

In primo luogo, come ovvio, il livello di S&P500 in termini assoluti è irrilevante. Ciò che è importante è il prezzo dell’indice ponderato con la performance delle imprese alla base delle loro trimestrali. Lo S&P500 ha un prezzo finale sul rapporto di guadagni di circa 21 volte, o un rendimento degli utili del 4,7 per cento. Sulla base degli ultimi 50 anni, questo non è propriamente “costoso”. Quelli che coraggiosamente dichiarano che c’è in giro una bolla, dovrebbero dare anche uno sguardo alle molteplici azioni ci sono state colpite durante la bolla tecnologica alla fine degli anni novanta, conosciuta come “dot.com”.

In secondo luogo, coloro che credono che un tale multiplo sia terribilmente costoso dovrebbe chiedersi qual è il prezzo corretto che dovrebbe essere pagato per le azioni nelle imprese di qualità in questo periodo. E’ qui che l’opera della University of Pennsylvania, grazie al professore Jeremy Siegel, su una delle grandi bolle del mercato azionario del dopoguerra diventa illuminante.

All’inizio del 1970 gli investitori erano disposti a pagare un prezzo apparentemente “stupido” per quello che sono stati poi percepiti come “una decisione – comprare e non vendere” titoli di crescita. Un gruppo di importanti società statunitensi, tra cui Xerox, IBM, Polaroid e Coca-Cola avevano valutazioni meravigliose. Questi titoli, a volte indicato valutazioni alti come 80 o 100 o più rispetto i loro guadagni, Coca-Cola raggiunse un prezzo i 46 punti nel 1972, Johnson & Johnson colpì un rapporto di 57 volte nello stesso anno. Disney salì a una valutazione di 71 volte, mentre Dow Chemical ben 241 punti.

Questi titoli erano chiaramente in una bolla secondo i canoni attuali, eppure guardate il grafico di Disney (DIS), +300% in 18 mesi. Ma in definitiva cosa significa ? Lo studio del professor Siegel ha dimostrato che la morale di tutto questo è che non tutte le aziende dovrebbero essere comprate a qualsiasi prezzo. Invece, un acquisto a lungo termine di un business forte a un prezzo ragionevole dovrebbe premiarli, anche in questo periodo. Può essere fuori moda dirlo, ma molte aziende eccellenti sono ancora in offerta per i prezzi, e non stanno urlando bolla da nessuna parte.